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Recensioni
"Senso della vita e nostalgia della natura nell’arte di Paolo Grigò" di Ilario Luperini
Molti sono i maestri del Novecento da cui ha preso vigore il fare artistico di Paolo Grigò, da quelli con cui ha avuto rapporti diretti (Silvano Pulcinelli, Romano Masoni, Gipi) alle maggiori personalità della scultura italiana, Manzù e Greco prima di tutto, senza dimenticare la grande, antica tradizione della scultura in Toscana.
Certo, in seguito l’artista ha intrapreso strade proprie, è passato attraverso esperienze originali, ha progressivamente forgiato un linguaggio di grande impatto comunicativo, utilizzando al meglio i segreti delle tecniche di cui si è arricchita la sua operatività, in virtù di una rara capacità di assimilazione e di rielaborazione. Ha raggiunto importanti livelli di intensità espressiva, assumendo un ruolo di rilievo nel complesso panorama della produzione artistica dei nostri giorni.
Una personalità multiforme che vive intensamente il suo tempo. Padrone di molte tecniche, Grigò si misura con temi di grande peso e di forte attualità, evitando sempre empiti declamatori a favore di onestà intellettuale, rigore linguistico e coerenza di idee e di comportamenti.
I suoi quadri sono veri e propri organismi pulsanti, pieni di guizzi, di iridescenze, di apparizioni, di esplosioni di energia che guidano verso affascinanti ma anche inquietanti percorsi dentro la realtà, sistema complesso rivelato proprio dal serrato gioco di rapporti tra colori e figure: un colore ora più aspro e provocatorio, ora più soffice e suadente che consente di guardare fino in fondo l’uomo, di sentirne e amarne le sofferenze, di cogliere il meraviglioso rapporto tra senso della vita e nostalgia della natura, con la speranza di scoprire mondi meno nevrotici e più austeri. Gli ocra, gli arancioni, i gialli, i verdi, gli azzurri, trattati con caldi impasti, occupano gran parte dello spazio pittorico, all’interno del quale, grazie alla consueta attenzione compositiva, si muovono figure ritmicamente concepite. Nelle opere degli ultimi tempi, le figure prorompono con forza magnetica da fondi sempre più macerati dalla corposità della materia pittorica, arricchita, spesso, da segni, graffiti, grumi di colore, inserti di materiali. Una nuova tensione pulsa sulla tela, probabilmente determinata da una progressiva presa di coscienza del limite, del gigantesco e forse vano sforzo dell’uomo per sottrarsi all’omologazione e alle catene del conformismo.
Analoghe modalità creative caratterizzano la sua opera scultorea. La straordinaria capacità di far muovere le superfici bronzee con segni plastici controllati e di rara intensità, la sapienza nell’evitare l’enfasi della monumentalità celebrativa, infondendo alla pietra e al bronzo una loro unicità e un’autentica interiorità, sollecitano sempre una corale partecipazione al suo atto creativo. E’ sorprendente la maestria nel sensibilizzare la superficie sia nel tuttotondo modellato con dolcezza e armonia, sia nel bassorilievo, in cui la modulazione chiaroscurale dei piani è talora data da impronte o segni profondamente incisi; segni che spesso affiorano da spazi infiniti, scanditi da mani trepidanti conquistate dall’affascinante natura del materiale. Figure in bronzo acefale, particolari volumi femminili raccolti nelle loro masse formose e colme di sensualità, oppure misteriose figure totemiche sono modellate su diversi livelli di profondità plastica in cui la luce si insinua con convincenti effetti di variabilità tonale, attardandosi nei solchi più profondi e scivolando veloce nelle impercettibili increspature della superficie.
La scultura serve a Grigò come piano di proiezione entro cui immergersi per lavorarvi dall’interno, per scartare progressivamente tutto ciò che gli appare superfluo all’efficacia dell’immagine, senza mai trascurare il riferimento al dato reale, alla forma riconoscibile che rappresenta sempre la chiave di lettura anche per slanci di pura astrazione.
Un percorso artistico, dunque, assai ricco in cui sogno e realtà, cronaca e storia, amore e morte divengono i poli entro cui si dibatte l’uomo col suo peso carnale e il suo difficile rapporto con la natura, con la tristezza e la gioia del quotidiano, con la responsabilità e la grandezza della coscienza di fronte alle verità della vita.
"The Sense of Life and the Nostalgia for Nature in the Art of Paolo Grigò" by Ilario Luperini
There are many twentieth century artists who first influenced Paolo Grigò’s work, those he has known personally, like Silvano Pulcinelli, Romano Masoni and Gipi, as well as some of the most famous names in Italian sculpture, including Manzù and Greco, and not forgetting the influence of the strong and ancient tradition of sculpture in Tuscany. Of course, since then the artist has followed his own path, had original experiences and has progressively forged a language of great communicative impact by means of those technical secrets with which his work has been enriched, all thanks to his rare ability to assimilate and re-elaborate. Thus, Grigò has reached high levels of expressive intensity, taking on an important role in the artistic panorama of our days.
A multiform personality who lives his times intensely, master of many techniques, Grigò tests his limits both with themes of great weight and of vital current importance, managing to avoid declamatory surges in favour of intellectual honesty, linguistic rigour and a consistency of ideas and actions.
His paintings are true and proper pulsating organisms, full of flickerings, iridescences, apparitions and explosions of energy, which lead down fascinating but disturbing paths through reality. It is a complex system created by the game played in a close relationship between colours and figures: colours which one moment seem to be acrid and provoking and the next moment softer and more persuasive. This system allows you to look right inside the core of man, to feel and love his suffering, to grasp the wonderful relation between the sense of life and the nostalgia for nature, with the hope of discovering worlds which are less neurotic and more austere. The ochres, oranges, yellows, greens and azures, treated with warm impasto,(take up much of the pictorial space inside which, thanks to his characteristic attention to composition, rhythmically conceived figures move. In his most recent works the figures break out of the depths with magnetic force, depths which are ever more macerated by the bodily form of the pictorial medium, often enriched with marks, handwriting, dollops of colour and the addition of other materials. A new tension pulsates on the canvas, one that has probably been determined by an awareness of limits, of the gigantic and perhaps even vain effort of man to subtract himself from the need for approval and the chains of conformity.
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